Competenze chiave e didattica (I parte)

L’Europa dell’istruzione ha individuato il ruolo sempre maggiore che alcune competenze hanno nella formazione dell’uomo e del cittadino.
Sono competenze trasversali, rispondono alle istanze che la vita contemporanea , il mercato del lavoro, la società della conoscenza presentano ,offrono gli strumenti necessari per reagire in modo adeguato alle sfide che il futuro ci riserva.

Non a caso sono definite K competencies, cioè competenze chiave.
Queste competenze “non sono concetti astratti, ma rappresentano le fondamenta necessarie che permettono lo sviluppo della nostra personalità: continuare ad apprendere, cercare lavoro o cambiarlo sfruttando le informazioni e i mezzi disponibili, interagire con i nostri concittadini europei, conoscere e dialogare con culture differenti; impegnarsi nel sociale o apprezzare la ricchezza delle espressioni culturali ed artistiche.” La definizione è tratta dal Programma europeo Leonardo da Vinci che si occupa di queste competenze chiave.

Esse dovrebbero essere acquisite al termine dell’istruzione/formazione obbligatoria, e rappresentare la base per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (LifeLong Learning).
Ma come si pone l’istruzione dell’obbligo italiana di fronte a queste , che non sono soltanto indicazioni, dell’Europa?
E soprattutto, come si pongono i docenti di fronte a ciò?

La normativa del “nuovo obbligo di istruzione" ha pienamente recepito le direttive europee, costruendo un curriculum fondato su quattro assi culturali e su una didattica per competenze, e richiamando esplicitamente alle competenze chiave. Il problema è, semmai, che la novità è stata introdotta in modo sperimentale nell’anno 2007/2008,(anche con la promozione di attività di ricerca-azione e di aggiornamento dei docenti), ma a questo ancora non è seguita una riforma della scuola superiore (almeno il biennio dell’obbligo ) coerente. Il discorso sarebbe lungo…
Parliamo piuttosto della situazione sul campo…
Va detto, purtroppo, che molti docenti nemmeno conoscono l’esistenza di queste competenze chiave. Docenti in formazione, docenti appena immessi in ruolo, docenti in servizio. Lo dico per esperienza personale di formatore.
E chi conosce assi culturali e competenze, spesso chiede: ma dove sono i programmi? Già, dei bei programmi prescrittivi che ci esimano dal progettare… No, grazie…A me piace farlo. Progettare l‘intervento didattico in tutte le sue fasi mi rende ingegnere, regista, professionista, non semplice esecutore…
Credo che recepire realmente queste indicazioni europee nella scuola comporterebbe una bella rivoluzione.
E faccio una semplice riflessione, o meglio, una domanda retorica: esistono , nella scuola italiana, discipline come “Imparare ad imparare” o "Problem solving" (tanto per riferirci a due competenze chiave assai importanti, perché la loro padronanza è una dote essenziale per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, oggi INDISPENSABILE a tutti)?
No, evidentemente.
E allora, come favorire l’acquisizione di queste competenze nella scuola?
Anche qui, la risposta sembra abbastanza evidente. Meno facile, tuttavia , metterla in pratica.
Io ritengo che anzitutto si debba spostare l’asse dell’apprendimento, oggi prevalentemente orientato sulle singole discipline, ad un apprendimento attraverso le discipline. Valutando attentamente come , attraverso la mia disciplina, posso sviluppare competenze che la trascendano, che costituiscano un possesso utilizzabile in altri campi del sapere e della vita (life skills.
Ne consegue, necessariamente, un forte cambiamento delle strategie didattiche, che riduca al minimo l’ancor oggi imperante lezione frontale con la sua prospettiva esclusivamente quantitativa :in una didattica delle competenze non ha davvero più senso.
E, a scendere, un uso intelligente e pedagogicamente orientato delle tecnologie (basta chiamarle nuove, please! Nuove per chi??), ambiente privilegiato per una didattica attiva, indispensabile ausilio per “teste ben fatte”, tool cognitivo del nostro tempo.
(To be continued)

Commenti

elena valenti ha detto…
Il passaggio dai programmi ministeriali alle "indicazioni nazionali" ha sancito la fine di programmi imposti dall'alto per dare la possibilità a tutti i docenti di prepare dei percosi adatti agli allievi conoscendo le capacità e abilità di partenza per arrivare ai traguardi di sviluppo delle competenze che fossero utili anche nella vita.
Purtroppo ancora pochi insegnanti hanno recepito questa possibilità di progettazione e programmazione; e si incontrano ancora docenti che preferiscono proseguire con i vecchi programmi.
Capisco che questo nuovo modo di pensare la didattica porti smarrimento e dubbi ma sono convinta che sempre più colleghi, come me cercheranno il confronto con i propri alunni perchè solo questo può farli e farci crescere.
Maria Greco ha detto…
Apprendimento ATTRAVERSO le discipline...geniale nella teoria ma indubbiamente poco realizzato nella pratica! Sono nel mondo della scuola da 4 anni, il tempo sufficiente per guardarmi intorno e osservare cosa accade. Al di là della disinformazione sui contenuti della normativa del nuovo obbligo scolastico, ciò che più mi colpisce giornalmente è la quasi totale mancanza di collaborazione tra i docenti, anche, e forse soprattutto, della stessa disciplina. E allora come pensare a una interdisciplinarietà se manca il confronto, lo scambio di idee, la collaborazione tra i docenti? E' come se ognuno fosse geloso di ciò che sa e di ciò che fa e la strategia del team teaching è solo un'attività che ritarda la conclusione del programma!! Tutto intorno dunque il vuoto..solo tanta mancanza di informazione e di voglia di cambiamento..sicchè il docente "aggiornato" viene guardato con diffidenza dai colleghi, legati ai vecchi programmi ministeriali e per nulla preoccupati di sviluppare negli allievi quelle "life skills" di gran lunga più importanti di un programma portato a termine.

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