L’Epodo di Colonia: “ultimo tango” a Paros?
Colonia, Germania. Nella sala illuminata a giorno gli studiosi lavorano ad una mummia egizia, liberandola poco a poco dagli strati di papiro che costituiscono il cartonnage della maschera funeraria.
All’improvviso uno di questi attira la loro attenzione. Splendidamente conservato, a parte qualche sfilacciatura sui bordi, è perfettamente leggibile.
E’ una poesia greca…
Una poesia così scandalosa, così “hot” che soltanto dieci anni dopo fu attribuita da Fackelmann ad Archiloco, uno dei più grandi lirici greci di età arcaica e pubblicato, nel 1974, da Merkelbach e West (Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik). Ma già l’anno seguente, con scanzonato umorismo, l’inglese Peter Green lo intitolò“The last tango on Paros” (Times Literary Supplement, 14 marzo 1975, p. 272).
Lo choc degli studiosi era infatti stato così grande, da portarli a negare la paternità archilochea al testo nella illusione di salvaguardarne (?) l’integrità morale. Lo stesso Merkelbach , scandalizzato dal crudo realismo del testo, arrivò a definire Archiloco “ein schwer Psychopath” (“uno psicopatico grave”).
Odoravan d’unguento chioma e seno
anche un vecchio ella avrebbe innamorato
Irrealtà perché il vecchio , ormai… era fuori gioco…
Ma vediamo il papiro, e leggiamo il testo ,oggi noto con il nome di Epodo Di Colonia che, direttamente o per allusione , ha una forte valenza erotica.
…resistere del tutto
e intanto farti forza come me.
Ma se non hai pazienza e il cuore ha fretta,
c’è ancora in casa nostra la ragazza
- ora è pazza di te -
una vergine tenera e carina
perfetta e irreprensibile, mi pare,
che tu fai piangere.”
Così diceva; ed io le rispondevo:
“O figlia della nobile Anfimedo,
santa donna che adesso
è preda della terra putrefatta,
i giochi dell’amore sono tanti
per i giovani maschi,
a parte la cosa divina…
Vedrò di accontentarmi.
Al calar della notte
a Dio piacendo
decideremo insieme quale scegliere
io e te.
Sarò ubbidiente, farò tutto quello
che mi comandi.
Ti voglio. Fammi entrare
di là dal muro e dalla porta – no,
non resistermi, amore: approderò
sopra l’erba del prato…
E adesso sta’ a sentire: Neobùle
la prenda qualcun altro.
Eh sì! Purtroppo è sfatta,
caduto il fiore della sua verginità
e la grazia d’un tempo.
Non ha limiti
è pazza, pervertita, quella donna.
È da buttare ai corvi.
Non la voglio
una donna del genere al mio fianco,
farei ridere tutto il vicinato.
Oh no, io voglio te: tu non sei doppia
non sai mentire tu,
lei sa come ingannare,
donna dai mille volti.
Ho paura con lei:
per impazienza,
per fretta corro il rischio
di far cuccioli ciechi e prematuri
sai, proprio come la famosa cagna…”
Così dicevo, e intanto
la vergine
l’avevo presa.
Su un tappeto di fiori la distesi
coperta col mio morbido mantello
circondandole il collo con un braccio
immobile, spaurita
proprio come una piccola cerbiatta.
Con le mani
i seni dolcemente le toccai
dove la pelle intatta
tradiva appena la sua pubertà.
E accarezzando tutto il suo bel corpo
la bianca forza emisi
sfiorando appena la peluria bionda.
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