Raccontare e riflettere





Da piccola adoravo" la bella e la bestia". La mamma mi raccontava Cappuccetto Rosso fino allo sfinimento per farmi mangiare la pappa. Il must della nonna (cui va il mio più affettuoso pensiero da quaggiù) era Pollicino... per tacere di una fiaba che non ricordo più bene e che si svolgeva nel brolo, luogo allora a me sconosciuto e che mi ispirava una certa diffidenza...

Ma la Bella e la bestia era la mia preferita, forse anche perchè me la raccontava papà, che con le manifestazioni d'affetto ha sempre avuto poco a che vedere. La favola durava giorni, a volte più di una settimana: si arricchiva di particolari sempre nuovi, e non mi stancavo mai di ascoltarla. Nessuno- come è giusto che sia- mi ha mai spiegato la morale, e solo pochissimo tempo fa mi sono chiesta il motivo di questa preferenza. Se andate a leggere su wikipedia , troverete alcune interpretazioni della fiaba, oltre a quella, abbastanza comune ma molto significativa, soprattutto oggi, sulla bellezza interiore e sulla bellezza esteriore. Preferisco lasciarle a voi, perchè temo che parlarne rivelerebbe troppo di me...

Questo riferimento alla mia fiaba preferita riporta al tema del post.

telling story

L'immagine che vedete qui sopra, tratta da http://www.idiagram.com , esprime molto bene che cosa significa ascoltare una storia invece di una relazione, di un saggio. Ascoltare una storia è una esperienza multilivello: coinvolge nel profondo, supera le barriere cerebrali del pregiudizio, rivolgendosi direttamente all'intelligenza emotiva. Consente di percepire in maniera olistica, non analitica ,la complessità di un tema. Di percepirla con la mente ed il cuore insieme, di parteciparvi direttamente attraverso l'identificazione con uno dei personaggi.

Per chi racconta, o scrive , una storia si tratta di un mezzo per strutturare una esperienza e farne emergere gli aspetti più significativi.

Un racconto crea unità di senso, che possono costituire un embrione di analisi, di soluzione di un problema, dove però il momento dell'insight è prevalente su una analisi sistematica."As we make our way through life, we have continuous experiences and dialogic interactions both with our surrounding world and with ourselves. All of these are woven together into a seamless web, where they might strike one as being overwhelming in their complexity. One way of structuring these experiences is to organize them into meaningful units. One such meaningful unit could be a story, a narrative. For most people, storytelling is a natural way of recounting experience, a practical solution to a fundamental problem in life, creating reasonable order out of experience".(Torril Moen, Reflection on the narrative research approach,International Journal of Qualitative Methos 5, December 2006 http://www.ualberta.ca/~iiqm/backissues/5_4/pdf/moen.pdf).

L'idea che sta alla base del racconto che presenteremo al convegno DULP nasce dall'incontro e dalla contaminazione tra lo story telling utilizato per l'apprendimento e la narrative research- o narrative inquiry- che negli ultimi anni si è sviluppata nelle scienze sociali, aggiungendosi ai metodi più tradizionali come quello sperimentale- e che qui ha come tema l'apprendimento e l'insegnamento visti attraverso la lente della teoria della complessità. Complessità che difficilmente puà essere espressa in termini lineari... anche perchè nella storia non è sempre il docente ad insegnare... O meglio, insegna nel modo in cui lui stesso ha appreso...Nel racconto non ci sono risposte, più che altro domande.Ma spesso così è anche la vita. E crescere (per gli studenti e per il professore, perchè non si finisce mai) significa anche saper convivere con l'incertezza dell'happy end.

Almeno possiamo sempre consolarci con una fiaba, in cui noi siamo la Bella. O la Bestia. Tanto, fa lo stesso...

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